Tutta la pratica yogica è una ricerca di equilibrio, cioè della giusta “via di mezzo tra due polarità”. Nel nostro quotidiano viviamo in balia degli opposti (“voglio/non voglio, mi piace/non mi piace, amo/odio”), condizione che crea profonde lacerazioni interiori ed è orig
ine di sofferenza (dukha) e disagio. Il proposito dello yoga è quello di attenuare questi contrasti per orientarsi verso l’unità, la stabilità e, quindi, l’equilibrio. L’Hatha Yoga, cioè l’unione di Sole (Ha) e Luna (Tha), è uno dei percorsi per realizzare questa integrazione, risvegliando e armonizzando in sé proprio Sole e Luna.
Questi due elementi sono simboli universali di conoscenza (il Sole ci permette di vedere/apprendere durante il giorno, la Luna ci “illumina” nelle tenebre), ma anche simboli di forze maschili e femminili, di azione e passività, di estroversione e introversione, cioè di tutti gli opposti attraverso i quali la vita si manifesta
L’utilità della pratica
Negli asana il concetto di equilibrio viene ulteriormente evidenziato. Nello “Hatha Yoga Pradipika” (I, 17), infatti, è scritto: «l’asana forma il primo elemento dell’Hatha Yoga ed è per questo descritto all’inizio. Esso ha per risultato la fermezza della posizione, la salute e la leggerezza fisica». Tara Michael (membro dell’Associazione di Studi Indiani, all’Università Sorbona di Parigi) così commenta: «la pratica degli asana ha come primo effetto la fermezza della postura, che è stabilità del corpo e della mente, a causa della limitazione di rajas, la cui natura è l’instabilità e l’agitazione. Il secondo risultato è l’assenza di malattie, dunque il superamento del primo ostacolo menzionato da Patañjali come causa di perturbazione mentale. Il terzo effetto, la leggerezza fisica, è data dalla limitazione di tamas, la cui preponderanza nel corpo genera sensazione di pesantezza, inerzia, torpore e pigrizia. Il fine degli asana è, quindi, quello di padroneggiare rajas (“agitazione”) e tamas (“inerzia”) e di accrescere sattva, cioè la condizione di equilibrio e benessere».
Contemplando l’assoluto
Negli “Yoga Sutra”, Patañjali afferma che «la posizione de
ve essere stabile e piacevole (sthira-sukha). Queste due condizioni devono procedere insieme affinché un asana sia al contempo stato di forza e agio (sukha è la sensazione di “benessere”, l’esatto contrario di dukha che è “dolore” e “sofferenza”). Per realizzare questa condizione, bisogna superare lo sforzo e contemplare l’infinito, l’assoluto. Allora, attraverso l’asana, ci troviamo in una particolare condizione nella quale non siamo più afflitti dalle coppie di opposti che caratterizzano il nostro quotidiano, ma realizziamo uno stato di equilibrio e felicità» (II, 46-47-48)