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Impara la Consapevolezza

Manuale di consapevolezza Vipassana in 8 settimane

MEDITAZIONE DI CONSAPEVOLEZZA

Alla domanda “Come stai”? Ufficialmente stiamo sempre bene. Probabilmente è vero, ma molto dipende dal livello di consapevolezza con cui pronunciamo questa affermazione. Nel mondo della Mindfulness, del suo protocollo base (MBSR) e dei derivati, c’è sempre una finalità verso cui si orienta la pratica: gestire lo stress, migliore nutrizione, prevenire la depressione, avere relazioni positive… Ma la consapevolezza ha una dimensione più vasta: abbraccia il modo in cui tutte le cose sono e dà valore alla nostra esistenza nella nostra relazione con essa.

di Guido Gabrielli

 

Stefano Ventura (ingegnere e psicologo) e Massimo Paradiso (laureato in Buddhismo antico) – entrambi istruttori Mindfulness e fondatori da oltre 10 anni del Centro Meditazione Roma (www.centromeditazioneroma.it), punto di riferimento per la divulgazione della meditazione di consapevolezza, Vipassana – hanno messo a frutto la loro esperienza di gestione di sang- ha nel manuale “Meditazione di Consapevolezza”- Manuale di Vipassana per sviluppare l’equilibrio nel cuore e vivere pienamente”, appena uscito per la collana Yoga Journal/Morellini. Parliamo con loro per capire come hanno costruito questo percorso divulgativo laico del Dharma.

 

D YOGA JOURNAL: “Meditazione di Consapevolezza” non è un altro manuale dedicato, o ispirato, alla Mindfulness, ma alla consapevolezza. Potete chiarire la differenza?

 

R STEFANO VENTURA: La Mindfulness è l’applicazione in ambito psicologico-clinico della pratica meditativa della consapevolezza. Chi segue un corso di Mindful- ness ha un obiettivo preciso: gestire meglio lo stress, prevenire la depressione, cambiare il proprio rapporto con il cibo e così via. La consapevolezza come via meditativa è invece coltivare un nuovo rapporto con ogni aspetto della propria vita, per fiorire integralmente come esseri umani. I due approcci utilizzano sostanzialmente le stesse tecniche meditative (ci sono davvero poche differenze sulle pratiche), ma in ambiti e con risultati diversi. Direi che l’orizzonte della meditazione di consapevolezza, o del Dharma, è più filosofico. Intendo dire che chi pratica la meditazione di consapevolezza la considera uno strumento di ricerca personale e spirituale sui temi di fondo della propria vita: i valori, le relazioni, la vecchiaia, il cambiamento e la morte. Certo, magari nel frattempo impara anche a gestire meglio lo stress…

 

R MASSIMO PARADISO: Aggiungo, che più prende piede la Mindfulness, maggiore è l’equivoco di confondere Mindfulness e meditazione buddhista. Hanno certamente un terreno comune: lo stesso Kabat- Zinn ha affermato che la Mindfulness anche se non è buddhismo (parole sue) è Dharma. Questo spinge gli istruttori di Mindfulness ad approfondire tanto il Dharma quanto la meditazione tradizionale buddhista. Abbiamo scritto questo libro come un punto d’incontro. Il nostro interlocutore è sia chi, adottando un atteggiamento direi razionale, è più orientato ad avvicinarsi alla Mindfulness, sia chi già medita da tempo ed è interessato al percorso liberante del Dharma. Parla ad entrambi perché attinge alla loro radice comune, alla consapevolezza. Non abbiamo voluto fare una sintesi; piuttosto abbiamo tentato di costruire un ponte che possa stare in piedi tra queste due sponde.

 

D YOGA JOURNAL: Perché c’è bisogno di consapevolezza?

 

R STEFANO VENTURA: Secondo un grande psico- terapeuta, Victor Frankl, noi esseri umani abbiamo un insopprimibile bisogno di significato: se non integriamo le nostre azioni in una prospettiva che ci trascenda, percepiamo la nostra vita come limitata e vuota. Questo non ha a che fare necessariamente con un atteggiamento religioso: si può essere atei o agnostici e ispirare le proprie azioni a un orizzonte di valori che non è immediato, ma che va oltre l’immediatezza spaziale e temporale della propria vita (ad esempio, battersi per salvaguardare l’ecologia del pianeta, o per costruire una società più giusta per tutti e tutte). Coltivare la consapevolezza ci apre alla ricchezza della nostra esperienza, rivelandoci che è fatta di relazioni e rapporti, e risvegliandoci alla cura per essi, cioè all’etica. Questo può aiutarci a soddisfare il nostro bisogno di significato e di infinito.

R MASSIMO PARADISO: Tutta la nostra esperienza è fatta di relazioni. Quelle consapevoli aprono un percorso di serenità e, quando capita, di piacevole gio- ia. Consentono una vera condivisione dell’esperienza umana. Nasciamo e moriamo: mentre viviamo è meglio sostenerci gli uni gli altri in modo gentile, con tenerezza e rispetto. Se pensiamo poi che la consapevolezza è l’antidoto alla reattività (condizione perché l’avversione cresca) possiamo capire quanto in questo periodo la consapevolezza sia fondamentale, quasi come l’aria o l’acqua.

 

D YOGA JOURNAL: “Il libro nasce dall’esperienza nella conduzione di sangha del Centro Meditazione Roma, e dall’esperienza dei partecipanti. Ci raccontate come è nato e le sue finalità?

 

R STEFANO VENTURA: Il Centro Meditazione Roma (CMR) è nato circa 10 anni fa, da un idea di Massimo e mia, e coinvolse un primo piccolo gruppo di amiche e amici che volevano praticare insieme. Massimo e io c’eravamo conosciuti praticando in un gruppo Zen di Roma. Col tempo, confrontandoci tra noi, abbiamo scoperto che né io né Massimo, per motivi diversi, ci sentivamo pienamente soddisfatti. Riflettevamo che il nostro gruppo di pratica ideale, ossia il nostro sang- ha, sarebbe dovuto essere un posto senza riferimenti religiosi, laico ossia aperto a tutti, inclusivo, e soprattutto democratico, ossia meno legato alla figura di un “maestro” o di una “maestra” posti al vertice di una struttura. Dopo averne parlato tanto, alla fine l’abbiamo realizzato.

R MASSIMO PARADISO: Quando si guida un gruppo, la prima cosa che capisci, se sei attento, è che esso stesso insegna a insegnare. È un gioco di specchi, come lo sono le relazioni in generale. E le donne e gli uomini che meditano con noi ci hanno permesso di approfondire un metodo da un lato molto aderente alla tradizione buddhista, dall’altro molto attuale e adatto a una mente contemporanea.

D YOGA JOURNAL: Come avete trasferito questo metodo in un libro-percorso su 8 capitoli?

 

R STEFANO VENTURA:   Massimo e io abbiamo riflettuto sui tanti anni di accoglienza e indirizzo delle persone che entravano al CMR, e abbiamo provato a mettere per iscritto la progressione di temi, riflessioni ed esercizi che abbiamo proposto a chi veniva a praticare con noi. Abbiamo anche riflettuto su quanto abbiamo appreso come istruttori di protocolli Mindfulness, sull’efficacia di sostenere l’apprendimento rendendo esplicite le istruzioni, fornendo i diari di pratica e i suggerimenti su come lavorare con gli ostacoli (l’agitazione, i dolori della posizione, il torpore, il dubbio…). Abbiamo tenuto presente con grande attenzione come viene tradizionalmente insegnata la pratica della meditazione, coltivando prima la stabilità della mente e il raccoglimento, e poi l’attenzione curiosa, aperta e non giudicante all’esperienza. Soprattutto però abbiamo voluto far sentire la presenza, l’amicizia e il sostegno di un gruppo a chi seguirà questo programma. Dietro ogni esercizio c’è un dialogo e un sorriso. Speriamo arrivi a chi vorrà praticare con noi!

R MASSIMO PARADISO: Abbiamo cercato realmente di trasmettere l’esperienza viva del rapporto tra istruttore e meditante. E tra amici e amiche di pratica. Certo, una pagina non catturerà mai completamente questa

 

D YOGA JOURNAL: Nel finale del libro scrive- te: “Siamo un’orchestra di tanti strumenti che suonando insieme produce una unica sinfonia”. Questa è la mente-cuore che risuona durante la meditazione?

 

R STEFANO VENTURA Sì, direi che questa è la nostra mente-cuore, sempre. Emozioni, sensazioni, pensieri, azioni, incontri, storia: tutto questo si scontra, si in- contra e si accorda in noi, e ci rende chi sentiamo di essere. Massimo dice sempre: “Siamo relazione”. È vero. Quando meditiamo facciamo l’esperienza intima e immediata di essere una moltitudine.

R MASSIMO PARADISO: Stefano dice che io dico sempre: “Siamo relazione”. Torna il gioco di specchi. Si perde il soggetto, inizia la relazione. Il singolo strumento entra nella sinfonia. La cosa bella del cuore è che il mio cuore non è solo mio.

 

D YOGA JOURNAL: Come avete cominciato a meditare?

 

R STEFANO VENTURA: Ricordo che avevo 23 anni, mi ero appena iscritto a ingegneria informatica e attra- versavo un periodo di crisi personale: tanti dubbi sul futuro e già un paio di anni di psicoterapia all’attivo. Era difficile trovare un orizzonte che desse significato alle mie azioni. Mi imbattei in un libro, “L’arte della felicità. Pensatori del Buddhismo psicologico” di Mirko Fryba. Lo sfogliai; era pieno di schemi, istruzioni, spiegazioni. Proprio quello che cercavo! Da quel momento il Dharma ha fatto parte della mia vita.

R MASSIMO PARADISO: Mi sono avvicinato alla meditazione per via dei miei studi. Frequentavo i corsi di religioni dell’India di Corrado Pensa alla Sapienza di Roma, poi mi sono avvicinato alla sua pratica meditativa. Ed è cambiato tutto. Credo io abbia cercato il Dharma per quella leggera tristezza e spaesamento che rimane dopo l’adolescenza.

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