Cosa è un mandala
È la rappresentazione del labirinto che la mente percorre per riportarci ogni volta a casa
di Elisa Chiodarelli
Credo che quasi tutti noi sappiamo, almeno in via teorica, cos’è un mandala (si pronuncia con l’accento sulla prima sillaba: màndala). Ad un certo punto abbiamo anche potuto regalare ai più piccoli – ma anche a noi stessi – album da colorare pieni zeppi di mandala da riempire con tutti i colori dell’arcobaleno. Un modo come un altro per incanalare l’attenzione e staccare qualche piccola spina interiore.
Un labirinto
Ma nella tradizione indiana i mandala sono ben altro che un disegno antistress, che nella sua costruzione geometrica elaborata ci ricorda forse un labirinto o i disegni di quelle meravigliose vetrate a piombo delle cattedrali gotiche.
E come in un labirinto medievale nel quale il pellegrino si inoltra alla ricerca di Dio – ad ogni svolta una prova o un ostacolo da superare – anche nel mandala della cultura indiana, l’idea è quella della trasformazione di sé, del percorso di rinascita da una periferia caotica ad un centro di gravità permanente. Che nella tradizione si irradia da un punto e di solito è vuoto, ma abitato.
Tutto è un tondo
La parola mandala significa “cerchio”, perché tutte le cose vanno in tondo, si ripetono e ricominciano, anche la nostra vita. Dal cerchio poi si sviluppano altre figure geometriche, come il triangolo e il quadrato, i cui significati rimandano ad un universo fatto di direzioni, abitato da archetipi di perfezione in forma antropomorfa, percorso da energie cosmiche, costellato di vajra e fiori di loto, campiture di colori primari e costellato da simboli e sacre sillabe. Un mandala è la rappresentazione dell’universo che siamo e di quello che abitiamo. Disegnato seguendo un metodo che ce lo traduce e interpreta in forma sim- bolica, ordinandolo per noi.
I disegni tradizionali appartengono soprattutto al mondo buddhista tibetano (come nelle grandi thangka rituali su stoffa) ma sono utilizzati, in forma esclusivamente geometrica, anche nella tradizione hindu, dove prendono il nome di yantra.
Il grande mandala di sabbia
Qualche anno fa potei assistere alla costruzione del mandala di sabbia colorata al 33° Kalachakra di Leh, una grande iniziazione conferita dal XIV Dalai Lama, in Ladakh, estrema provincia indiana ai confini con il Tibet. Una cerimonia durata diversi giorni alla presenza di 160.000 pellegrini, tra laici e monaci, durante la quale i monaci del monastero di Namgyal disegnarono un grande mandala di sabbia colorata infinitamente intricato, che tutti noi potemmo vedere nascere e completare nel corso di più di una settimana, per poi essere distrutto alla fine dell’iniziazione. Fu lo stesso Dalai Lama, con pochi gesti codificati a tracciare delle linee attraverso quel ricamo simbolico così prezioso ed effimero confondendo forme e colori, per poi lasciare che i monaci completassero la distruzione, spazzolando la sabbia verso il centro del disegno fino a quando l’immagine divenne solo un mucchio di sabbia multicolore.
Che fu portata in un’urna sulle rive dell’Indo poco distante e lasciata alle acque impetuose e freddissime. Un rituale che ci ricorda che “polvere siamo”, che tutto si trasforma e che la nostra vita a volte può sembrarci della stessa inconsistenza, inghiottita dal fiume della vita che scorre da un tempo senza inizio.
Perderci e ritrovarci
Pema Chödrön, monaca buddhista americana, scrive in uno dei suoi libri che forse possiamo considerare il mandala anche una sorta di dedalo – il labirinto in cui ci inoltriamo ogni mattina e che percorriamo tutto il giorno, ad ogni svolta una prova o un ostacolo da superare (!) – che ci accompagna nel divenire quotidiano. Ci alziamo la mattina e ci troviamo al centro del nostro mandala; andiamo in ufficio e affrontiamo le fatiche e le difficoltà di questo mandala, con i suoi ruoli e incarichi precisi.
Andiamo a fare la spesa e ci perdiamo tra gli scaffali infiniti di un mandala vasto come il mercato globale, tutto apparentemente a portata di mano, che a volte ci inghiotte nel carosello del desiderio. Guidiamo fino a casa e ci inoltriamo nel mandala del traffico, con le sue regole e i suoi ingorghi, finché riusciamo a guadagnare un approdo e a rientrare nello spazio di una casa che (a volte) ci offre altri mandala ben più raffinati e a volte intricati, quelli delle relazioni e del dialogo con chi ci circonda. Fino al momento in cui finalmente andiamo a dormire e ci inoltriamo nel mandala dei sogni notturni. Nulla di ciò che accade nel mandala accade invano. Tutto ha significato perché tutto rappresenta esattamente ciò che siamo in quel preciso momento. Tutto è una proiezione della nostra capacità di vedere e concepire l’esperienza.
E se diamo fiducia al dispiegarsi di questo grande mandala che è la nostra vita, forse potremo comprendere ad un certo punto il senso di tante svolte e tante prove da affrontare. E come in un labirinto medievale, forse riusciremo a trovare la strada verso casa.