Incontro con Grazia Pallagrosi
Un manuale (con audioguida) per imparare a meditare in 21 giorni
di Bice Mattioli
Grazia Pallagrosi è un’affascinante signora, con dei lineamenti ed uno sguardo da Eva Kant. In realtà è una decana della meditazione e una giornalista specializzata in benessere che per anni ha tenuto un blog sulla mindfulness per un noto settimanale femminile. Questo le ha permesso di osservare un crescente bisogno di quella “inutile” attività che si chiama meditazione, di cui tutti oggi parlano. Il suo libro “Meditazione facile per umani indaffarati” (edito da Yoga Journal e Morellini Editore) è un metodo gentile per portare un umano indaffarato, di qualsiasi livello, a meditare. Basta solo fare un piccolo sforzo e aggiungere 1 minuto al giorno (seguendo anche un’audioguida). Dopo 21 giorni sarete sempre indaffarati, ma più consapevoli e sereni.
Hai cominciato a meditare a 18 anni. Qual è il bisogno o l’istinto che ti ha spinto a cominciare?
Fin da piccola ho sentito il bisogno di ‘com-prendere’ l’esistenza e sono cresciuta cercando le risposte a tre domande: perché sono nata? Perché accade ciò che accade? E qual è il mio compito nel disegno della vita? Sentivo molto le sofferenze degli altri ma abitavo uno spazio di pace che mi permetteva di esserne partecipe e, allo stesso tempo, di osservare con calma le mie e le altrui emozioni. A otto anni, frequentando una scuola religiosa, sentivo il desiderio di fare la missionaria, crescendo ho capito che ciò che veramente mi ‘chiamava’ era la spiritualità e non la religione. Così sono arrivata alla meditazione, come strumento contemplativo primario della coscienza.
Quali tappe hai percorso per arrivare ad un tipo di meditazione conforme al tuo sentire?
Ho iniziato a meditare a 18 anni col mio maestro di yoga, il professor Alberico Lopiccoli, poi ho seguito gli insegnamenti di Sri Chinmoy e la meditazione trascendentale di Maharishi. Ho iniziato quindi a praticare la meditazione secondo le varie scuole buddhiste, da quella indiana a quelle cinese, giapponese e tibetana. Poi ho incontrato, prima nei libri e dopo nei ritiri, gli insegnamenti del monaco vietnamita Thich Nhat Hanh, che da quasi 20 anni è il mio principale riferimento. Ha saputo parlare agli occidentali unendo la concretezza dell’approccio zen con la gentilezza della cultura vietnamita e un’immensa conoscenza dei Sutra e dei loro commentari. Inoltre è il principale rappresentante del buddhismo impegnato, e anche in questo seguo il suo tracciato, coinvolgendo i miei allievi sul sentiero di una consapevolezza a tutto tondo, che va dalla conoscenza della mente a quella dei gesti che più frequentemente ripetiamo nel quotidiano: mangiare, comprare, lavorare e lasciare la nostra impronta sul pianeta.
Cosa ti ha spinto a scegliere di fare anche l’insegnante e come hai affinato la tua didattica?
Per tanti anni ho pensato solo a soddisfare quel ‘conatus intelligendi’ che mi teneva in continua propulsione verso la meta di una comprensione della realtà. Poi una delle mie insegnanti mi ha stupito dicendomi “Perché tieni tutto per te? Perché non lo trasmetti anche agli altri?”. E mi si è aperto un mondo. Gli eventi mi chiamavano ad assumere un ruolo di ascolto e aiuto. Poi l’incontro con Lama Champa Monlam, il mio Lama radice, mi ha fatto comprendere il valore della compassione: supportare gli altri è diventata per me la cosa più importante. E la ciliegina sulla torta ce l’ha messa il Dalai Lama quando, durante due sessioni di insegnamenti tenuti a Milano e Livorno, ci ha dato l’iniziazione di Cenresig, il bodhisattva della compassione, che mi ha cambiato la vita: l’insegnamento è diventato il mio modo di aiutare le persone a trasformare la sofferenza in concime per lo sviluppo di una serenità stabile.
Scrivere un manuale di questo tipo ha significato tradurre esperienze condivise nei tuoi anni d’insegnamento in metodo. È stato difficile?
No, scrivo come giornalista – e quindi come operatore della comunicazione addestrato a tradurre in parole semplici concetti spesso complicati – ma come insegnante invito i miei allievi a non prendere appunti: per ogni lezione preparo una dispensa illustrata che poi invio a tutti prima della lezione successiva.
Perché 21 minuti in 21 giorni? E perché funziona?
Perché il cervello ha bisogno di tempo per smontare una rete neurale alla base di un’abitudine (per esempio l’abitudine a occuparsi delle cose urgenti) e ricostruirne un’altra (per esempio dare priorità alle cose importanti). Questo tempo varia da persona a persona, ma è mediamente stimato in 21-29 giorni. Trascorse tre settimane, con tutta probabilità la nuova abitudine si è installata nella mente.
Con quale criterio hai costruito questo percorso di 21 tappe?
Col criterio della gradualità e dell’efficacia. La gradualità consente al cervello di installare la nuova abitudine senza imporci di forzare o modificare brutalmente il nostro tran tran quotidiano. L’efficacia delle pratiche consente di ottenete subito dei risultati, incentivando così la prosecuzione del percorso e facilitando il raggiungimento degli obiettivi.
Ad un certo punto della tua vita, hai deciso di dividerti tra Italia e Thailandia. Come è maturata questa decisione?
Sono andata per la prima volta in Thailandia ai tempi dello tsunami al seguito di Raffaele Meucci, fotoreporter e mio compagno anche nella vita, per realizzare un reportage giornalistico: lui fotografava, io intervistavo. Sono rimasta colpita dalla modalità di reazione collettiva al dramma: c’era un forte spirito di resilienza perché, più che raccontarmi delle perdite subite, del dolore e dei danni, tutti esprimevano sorridendo la volontà di ricominciare da capo. Un giorno, a Bangkok, ferma ad aspettare il ferry boat ho notato tra le persone in attesa un ragazzo che tirava fuori dalla giacca 9 bastoncini d’incenso. Li ha accesi tutti, concentrato nei gesti. Poi, tenendoli tra le mani giunte al cuore, si è rivolto verso il fiume e ha chiuso gli occhi. Ho pensato: sono a casa! Qui spirito e materia non hanno alcuna separazione. Dopo 6 mesi abbiamo comprato casa a Phuket, con il beneplacito di mia figlia Evaluna. Oggi trascorro lì quasi 6 mesi l’anno, 3 in inverno e 3 in estate. Oltre a godere delle pratiche meditative nella semplicità dei monasteri theravada, passo il mio tempo scrivendo, studiando, camminando sulla spiaggia e guidando ritiri di meditazione e riequilibrio psicofisico.
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