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Il segreto per vivere a lungo?

È la tua frequenza cardiaca: impara a respirare e abbine cura

del Dr. Franco Berrino

(a cura di Antonella Malaguti)

 

La più poetica delle possibili radici etimologiche della parola “amore”
 è a-mors, ovvero “assenza di morte”:
non un sentimento, dunque, ma uno stato di coscienza nel quale non vi è morte,
una condizione che può restituire all’essere umano uno stato di longevità assoluta.
 In effetti, essere longevi in salute non significa solo essere vivi a lungo senza malattie. Significa avere la capacità di godere del buon funzionamento del nostro organismo, avere la percezione che il nostro corpo ci sostiene, vivere con uno spirito giovane, con apertura mentale. Significa affrontare le giornate con buonumore e con flessibilità, dedicando amore alle persone che ci sono accanto, ai gesti che facciamo, al lavoro che svolgiamo.

 

Longevità e frequenza cardiaca

Forse non è un caso, allora, che anche dal punto di vista fisiologico la longevità sia strettamente connessa al “cuore”. In generale, più alta è la frequenza cardiaca, minore è la longevità. Topi e cavie, dal cuore veloce, vivono un paio di anni, mentre balene
ed elefanti, con frequenza cardiaca bassa, anche mezzo secolo. Cani e gatti, con battiti un po’ superiori ai 100 al minuto, vivono 15 anni o poco più. L’uomo è un po’ un’eccezione, perché, con una frequenza cardiaca
di 60-80 al minuto, vive fino a 80 anni (molto più rispetto a quando viveva come
un animale selvatico). È noto che l’esercizio
fisico aumenta di molto la frequenza cardiaca,
 ma chi si allena regolarmente ha una minore frequenza cardiaca a riposo e, a parità di età e di altri fattori che influenzano la mortalità (tabacco, dieta, reddito, supporto sociale), muore meno di chi è sedentario (fino a oltre il 30% in meno chi si allena un’ora al giorno). La frequenza cardiaca è perciò un indicatore di efficienza fisica e di longevità.

 

Variabilità del ritmo cardiaco

Altrettanto importante è la variabilità
del ritmo cardiaco (HRV, heart rate variability), che, anche nelle persone sane, non è regolare ma presenta piccole variazioni risultanti da complesse interazioni – tutt’altro che chiarite dalla scienza – tra fattori ambientali e comportamentali e meccanismi cardiovascolari intrinseci di natura nervosa e ormonale. È un fenomeno fisiologico che non ha niente a che fare con le aritmie cardiache. Rimane certo che la variabilità del ritmo 
è un vantaggio fisiologico, come se il sistema cardiocircolatorio fosse più pronto a reagire di fronte alle richieste della vita. Un’elevata variabilità 
del ritmo è associata a minore mortalità cardiovascolare sia nelle persone con malattia coronarica sia nella popolazione apparentemente sana, ma anche la mortalità per altre cause, in particolare per cancro, è minore. A parità di fattori di rischio, la mortalità cardiovascolare è circa
tre volte superiore e quella per cancro due volte superiore in chi ha una HRV bassa rispetto a chi ha valori intermedi, senza ulteriori vantaggi, anzi con un trend lievemente peggiorativo per il terzo della popolazione con variabilità maggiore. Di nuovo la prognosi migliore si trova nel giusto mezzo. La variabilità del ritmo cardiaco è ridotta nel diabete, nell’iperglicemia, nelle dislipidemie, nell’obesità (soprattutto addominale), nell’ipertensione, nella sindrome metabolica, nello stato infiammatorio cronico,
e diminuisce con il consumo di tabacco
e di caffè; aumenta, invece, con
la restrizione calorica (per esempio 
nel Ramadan), con l’esercizio fisico e
con la dieta mediterranea tradizionale.

 

Economia di respiri

Negli animali, l’intervento che più di
tutti influenza la longevità è la restrizione calorica, ossia il mangiare poco. L’abitudine di mangiar poco, infatti, agisce 
su gran parte dei meccanismi fisiologici dell’invecchiamento:riduce la produzione di radicali liberi, aumenta la riparazione
del DNA, attiva la telomerasi, riduce l’infiammazione e l’insulina, potenzia la rigenerazione delle cellule staminali
 (le cellule “primitive”, che possono garantire
la rigenerazione degli organi producendo
nuove cellule) e inibisce l’attività del
 principale gene che stimola la proliferazione cellulare e che, se troppo attivo, favorisce l’insorgenza del cancro. Come faccia
la restrizione calorica ad avere tutti questi effetti è ancora oggetto di interessanti ricerche. Grazie alla tecnologia, le statistiche mediche indicano dati positivi circa la speranza
di vita, aumentata di 10 anni negli ultimi 40, e la diminuzione della mortalità infantile e delle malattie infettive. Ma quante altre malattie nuove (tra cui quelle psichiche) o già esistenti sono aumentate o si sono presentate per la prima volta negli ultimi decenni? Quanto è migliorata la durata della vita in perfetta salute? Più del 90% della popolazione anziana (sopra i 65 anni) deve assumere quotidianamente farmaci.
 Si prevede che in Italia nel 2030 ci saranno 5 milioni di anziani disabili (ISTAT, Proiezioni per Longevità attiva) e non ci saranno risorse per assisterli.
 È lecito il dubbio che più mezzi inventa l’uomo per risparmiare tempo e meno tempo ha a disposizione per se stesso.

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