L’altra faccia dell’ Ego
Può far male, ma anche essere la chiave per la felicità se sai coglierne la parte migliore
di Nora Isaacs
Dopo aver praticato per più di dieci anni, principalmente in corsi di yoga per principianti, pensavo di essere una yogini abbastanza evoluta. Mi dicevo: «Sono capace di praticare tutte le posizioni che vengono proposte, mi sento a mio agio e serena», considerando anche il mio abituale atteggiamento perfezionista. Poi un giorno mi è capitato di cambiare stile e finire in un corso di yoga con asana più avanzate di quelle a cui ero abituata. L’insegnante ci ha dato le istruzioni per prendere la posizione sulla testa e mi sono sentita immediatamente incapace; la terra mi scivolava sotto la testa. Ho passato il resto della lezione a paragonarmi agli altri allievi, pensando che non c’era confronto. Così, con il tempo, questo stato di inadeguatezza ha indebolito la motivazione. Seguivo meno appassionatamente le lezioni, a volte non le completavo. Ho riflettuto a lungo su questa esperienza, mi sono confrontata con altri insegnanti e sono giunta alla conclusione che l’ego, lasciato senza controllo e senza consapevolezza, può ostacolare il tuo cammino interiore. Utilizzando gli strumenti di auto-osservazione (corpo, mente, emozioni) che ci offre l’insegnamento dello yoga, puoi comprendere come e quando ti trovi alla mercé del tuo ego.
Cos’è
Nel suo significato di base, l’ego è ciò che ti definisce. Quando è in equilibrio e in salute, ti dà una fisicità ben definita e una forte presenza a te stesso. Al contrario, quando è instabile o debole, l’ego ti mostra e ti valuta in funzione di qualità ed eventi esterni, quali la casa in cui abiti, il tuo aspetto, il tuo lavoro. L’ego è ciò che ti fa sentire un essere superiore quando allinei perfettamente le anche e le braccia nella Posizione del Guerriero, ma anche uno smidollato quando vedi altri entrare in maniera naturale in una posizione capovolta.
La storia dell’Ego
Nella tradizione yoga, l’ego ha sempre avuto una cattiva reputazione. La Gheranda Samhita, un testo yoga scritto nel 17° secolo, recita: “Non c’è un cappio più stretto dell’illusione, nessuna forza più forte dello yoga, nessun amico più grande della conoscenza, nessun nemico più grande dell’ego”. Negli aforismi degli Yoga Sutra di Patañjali, l’ego viene citato come secondo dei cosiddetti klesha (afflizioni dell’animo umano). Quando la pratica cominciò a prendere piede in Occidente dalla metà degli anni Sessanta, l’ego sembrava essere qualcosa da estirpare dalla coscienza umana, per raggiungere l’illuminazione. Ma in realtà ci siamo resi conto di aver bisogno dell’ego per vivere in un mondo materiale, e comunque eliminarlo sarebbe impossibile. «Spesso utilizziamo il termine ego come sinonimo di qualità negative», dice Sally Kempton, insegnante di meditazione e collaboratrice di Yoga Journal, “ma l’ego è una funzione della coscienza, dobbiamo imparare a discernere la parte utile da quella dannosa”.
Il senso dell’Io
In sanscrito, il termine ego è definito come ahamkara, che può essere tradotto come “quello che produce il senso dell’Io”, ossia quello che ti fa sentire distinto dal resto: sin qui è naturale. Ma quando l’“Io” coincide con qualità e aspetti esterni e superficiali della vita, a scapito di quelli intimi e profondi dell’essenza, allora diventa un problema. «Maggiore attenzione presti all’ego, maggiore potere avrà di influenzarti» dice Sally Kempton. Ecco che allora diventa asmita, uno delle cinque cause di sofferenza dello spirito umano (klesha). «Diventa un atteggiamento normale credere che emozioni, ansie, successo, fallimenti siano realmente quello che sei. È un modo di pensare che ti porta a vivere la felicità in funzione dei “su e giù” della vita».
Basta confronti
L’ego diventa un problema quando il tuo umore dipende dalla tua “autodefinizione”. Il livello di soddisfazione nel lavoro, le prestazioni atletiche, la vittoria, il rapporto con i fallimenti e le sconfitte degli altri. Riuscire a mantenere tutte le promesse della tua apparenza è il vero stress, una ricetta per l’infelicità. Questo non significa tu non debba gioire dei tuoi traguardi e successi. La pratica yoga non significa abbandonare il piacere, quanto (come suggerisce Patañjali) abbandonare gli ostacoli che creano squilibrio nella mente. Puoi gioire della tua casa o della tua posizione sociale (qualsiasi essa sia) come della tua lezione di yoga (indipendentemente dalla tua abilità atletica). Il problema è se non riesci a cogliere la differenza tra questo e la tua vera essenza.
Il viaggio senza mappa
Utilizza la tua pratica yoga per comprendere dove interviene la dinamica dell’ego. Respirazioni, asana, meditazione sono tutti atti che richiedono di esercitare la presenza a te stesso, per quello che sei, non per quello che vorresti o ti immagini di essere. Accettarlo ed esserne soddisfatti è già un passo di liberazione. «Uno dei primi fondamenti che lo yoga insegna è quello di creare l’abitudine a una auto osservazione» dice Sally Kempton. «Successivamente imparerai a distinguere tra ciò che è essenziale e quello che è stato acquisito dalla cultura, dalla famiglia o dalla maschera che indossi». Entrare in contatto con se stessi non significa ignorare i sentimenti e le emozioni, parti legittime della nostra personalità, ma evitare quelle che scaturiscono da emozioni e riflessi di altri, dietro ai quali ci nascondiamo. Tieni conto, poi, che questa è una ricerca che ti seguirà per tutta la vita, un viaggio senza mappa. Come in una meditazione, a volte divagherai, poi troverai di nuovo il centro, senza colpevolizzarti, onorando la capacità di fare degli errori. E se, in una lezione di yoga, ti chiederanno di fare una posizione che pensi, in quel momento, non adatta a te (come una capovolta), chiedi all’insegnante una variante, anziché ricominciare a competere con te stesso e con gli altri.
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