Equanimità: amare anche in una condizione di disagio
Empatizza con gli altri piuttosto che giudicare
di Maria Beatrice Toro
Psicologa e psicoterapeuta direttore istituto mindfulness interpersonale
Significa permetterci di sostenere chi amiamo, anche nella sua sofferenza
La pratica mindful del vivere insegna che la sofferenza è inestricabilmente connessa alla nostra condizione umana e cercare di sfuggirla è un approccio fallimentare. Meglio accogliere, permettere, consolare amorevolmente… È ok non sentirsi ok! La Mindfulness ci invita con semplicità a non lasciare soli noi stessi nel momento della prova. Ci invita ad accompagnare e abbracciare ogni tristezza, frustrazione e paura sciogliendo il nodo crudele dell’autocritica con gentilezza e amore.
Nelle pratiche interpersonali ci esercitiamo ad estendere questo atteggiamento saggio verso gli altri: si empatizza piuttosto che criticare, si è sensibili piuttosto che restare indifferenti. A un certo punto, tuttavia, ci si può sentire affaticati dal lavoro della compassione, come se, nel diventare più sensibili, entrassimo in una insopportabile risonanza con tutto il dolore che c’è attorno a noi. Vi è mai capitato?
Si possono vivere momenti molto duri quando ci si rende conto della sofferenza che non riusciamo a lenire, come se l’impatto che abbiamo nell’aiutare gli altri fosse sempre insufficiente. In realtà, esiste una strada possibile per mitigare un’eccessiva empatia, un approccio troppo coinvolto e “interventistico”: è l’equanimità, quello spiraglio di lucidità che ci fa percepire, a un certo punto, che ogni essere umano, noi compresi, ha la sua storia, le sue sfide e le sue cadute, che possiamo accettare. Per usare parole grandi, potremmo dire che ognuno ha un destino. Quando riusciamo ad afferrare il fatto di non poter liberare gli altri dai loro vincoli diventiamo più equilibrati verso le persone che amiamo: farà bene anche a loro. Si sentiranno meno preoccupati di farci del male se ci confidano le loro vicende o emozioni negative. Sentiranno che siamo forti e, pur continuando ad amarle e sostenerle, possiamo reggere il loro dolore, perché siamo in grado di stabilire un confine.
Pratica
Vi propongo una breve pratica per sostenere l’equanimità verso chi amiamo.
- Ci mettiamo seduti comodi e ci prendiamo qualche istante per entrare in contatto con l’immagine di qualcuno che in questo momento ha bisogno di noi.
- Evochiamo un sentimento di cura verso questa persona, gli auguriamo che possa essere felice nonostante la sofferenza. “Che tu possa essere felice”. “Che tu possa non incontrare oggi la sofferenza fisica e mentale”. “E se dovessi incontrarla, che tu sappia prenderti cura di te stesso con saggezza e benevolenza”.
- E aggiungiamo: “Mi prenderò cura di te, anche se tu hai il tuo cammino”. “Mi prenderò cura di te, nonostante tu potresti continuare a soffrire. Lo accetto”. “Mi prenderò cura di te, ma il cammino è il tuo”.
Non è cinismo! È realizzare la consapevolezza che a volte dobbiamo avere il coraggio di autorizzare chi amiamo a stare come sta, a sentirsi come si sente ed essere la persona che è, così come è. Non possiamo prendere sulle nostre spalle sfide che sono sue. L’equanimità nei confronti dell’altro è, soprattutto, coscienza rispettosa e sensibile di una grande verità: nessuno può fare il cammino evolutivo umano su questa terra al posto di un altro.
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