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Come preparare una lezione di Yoga

Tecnica e ispirazione: ecco come si struttura un corso di yoga

di Bice Mattioli

 

Giovanni Asta in azioneInsegnare lo yoga è una vocazione che va alimentata con amore (Bhakti),supportata dallo studio (Jnana)e sperimentata dal continuo mettersi in gioco (Karma). Come progettare, lezione dopo lezione un percorso che porti l’allievo dentro la vastità e profondità dello Yoga? Certo si può imparare dalle lezioni cui si partecipa, osservare con attenzione nei corsi di formazione, ma sarà l’esperienza l’evento fondamentale. Inoltre, molto importante, l’insegnante deve capire di essere a supporto dell’allievo e intuire come la dinamica di un gruppo possa essere di aiuto allo sviluppo di ogni singolo partecipante. Ne parliamo con Giovanni Asta, insegnante dal 2001: per 17 anni ha gestito (dopo averla fondata) la sua Scuola, Vidya Yoga, vicino Vicenza; attualmente è un formatore di insegnanti freelance.

 

 

Yoga Journal Quali sono i parametri fondanti per preparare un corso yoga di vari mesi per principianti-multilivello?

Giovanni Asta Sono tre. Il primo parametro è il numero di ore/lezioni previste dal percorso. Inizialmente nella mia scuola proponevo due lezioni alla settimana, ma notavo che molti allievi erano incostanti. Mi sono orientato così su lezioni mono settimanali di 90 minuti e un programma di 10 lezioni per cominciare ad apprezzare la pratica. Ho cercato di dare responsabilità all’allievo nel mantenere una presenza costante («la lezione di Yoga è più impor- tante di qualsiasi altro impegno!»), una motivazione continua e strumenti per la pratica personale a casa. Il secondo parametro sono i concetti base che voglio trasmettere agli allievi: fondamenti della respirazione spontanea e tecniche base per guidarla (respirazione consapevole, frazionata, yogica completa); corrette dinamiche del movimento del corpo attraverso gli asana; concetti base di “radicamento ed opposti in azione”. Ogni cosa nel mondo materiale è soggetta a diverse forze fisiche, una di queste è quella di gravità che dobbiamo imparare a sfruttare, radicando con i punti di appoggio (piedi, mani, testa, ecc.), per ottenere quell’alleggerimento nell’opposta direzione. Questo aumenta gli spazi corporei artico- lari nutriti dal respiro e dal Prana. In Tadasana, ad esempio, l’azione delle gambe permette ai piedi di penetrare il terreno; questo ci restituirà una forza uguale e contraria, il vertice della testa volerà al cielo agevolando un’azione di decompressione tra vertebre e dischi a bilanciare l’azione gravitazionale cui il nostro corpo è soggetto. Possiamo applicare questo semplice concetto a tutti gli asana: le varie parti del corpo si dirigono agli opposti e le forze si annullano al ”centro” che risulta leggero e stabile. Armonizzare/ sincronizzare il movimento del respiro e del corpo è il terzo parametro, per migliorare la confidenza e percezione/propriocezione del corpo.

 

YJ Ti prepari degli schemi, disegni, appunti, una “sceneggiatura” per ogni lezione?

GA Generalmente per i principianti costruisco con la mia pratica ogni lezione e poi la trasferisco su carta per fissarla e avere un archivio/memoria di quanto proposto: nel corso degli anni ho messo a punto un metodo, che aggiorno sistematicamente col passare degli anni. Nei corsi di livello superiore a volte non preparo nulla. Ho in mente, ad esempio, un asana, o un suo particolare su cui voglio lavorare, e lascio che la lezione nasca da sola, grazie all’espe- rienza, all’intento e all’energia del gruppo.

 

YJ Poi ci sono le persone…

GAConoscere gli allievi è fondamentale, osservare il loro approccio, il livello di attenzione, le difficoltà osservate e riferite, informarsi con discrezione delle problematiche psicofisiche incontrate e, pur mante- nendo chiarezza sugli intenti iniziali, tarare/adattare alla classe il livello d’intensità di esecuzione, ritmo.

 

D YJ C’è una regola che ritieni di poter dare per creare un percorso di asana?

GA Gli asana che propongo sono basici, ma includono tutti i gruppi di posizioni. Le posizioni in piedi in modo intuitivo ed istintivo stimolano una maggiore confidenza con il radicamento. Sulla stabilità di piedi e gambe, sono eseguite le flessioni del busto in avanti, osservando ciò che emerge, cominciando a sperimentare le prime inversioni. Flessioni e torsioni spinali stimolano il lavoro di mobilità della colonna vertebrale (CV), del bacino, su cui poggia la tua articolazione centrale. Al- cune semplici estensioni del tronco rinforzeranno la muscolatura della schiena donando nuova apertura all’area toracica.

 

YJ Ci sono famiglie di posizioni che escludi per i principianti?

GA Posizioni in equilibrio su mani, braccia e testa e, molto spesso, alcuni asana che non sono completi. As esempio: Adho Mukha Svanasana completo, risulta difficoltoso da eseguire all’inizio, per vari motivi e l’allievo nel tentativo di eseguirlo è sordo alla comprensione e non può sviluppare un’azione intelligente. A nostro aiuto Ardha Uttanasana con le mani al muro o su una sedia, ci permetterà di stimolare il corpo nella stessa direzione ma con meno intensità: l’azione diventa più equilibrata, comprensibile ed efficace. In seguito l’appoggio delle mani può essere abbassato, ad esempio su un panchetto o su dei mattoni: con questa gradualità l’esecuzione della posa finale verrà con naturalezza, come conseguenza di un lavoro ben organizzato ed intelligente.

 

YJ Poi lo stimolo a vivere l’asana…

GA Faccio ripetere le posizioni più volte. Osservandole da differenti punti di vista e varianti: questo facilita l’assimilazione dei fondamenti di ogni asana. Gradualmente introduco maggiore intensità, e que- sto permette all’allievo di evolvere in sicurezza dei benefici posturali ed energetici. La cosa più impor- tante è guidare con precisione gli allievi affinché la loro attenzione sia totalmente rapita dall’esperienza corporea e respiratoria.

 

YJ Come definisci il tema della lezione? lo introduci all’inizio oppure ne fai un epilogo a fine lezione?

GA Non credo sia strettamente necessario manifestare il tema della lezione (soprattutto per i principianti); a volte può creare troppa eccitazione o scoramento a seconda del rapporto che ognuno sente con gli asana che ci si appresta ad eseguire. Di contro fare notare all’allievo la sequenza che ci ha condotti verso quella pratica, rappresenta un qualcosa in più, utile per la gestione della propria pratica personale.

 

YJ Che tipo di linguaggio usi per introdurre la pratica?

GA In una lezione per principianti pongo l’accento più su aspetti anatomico-fisiologici. È immediato per tutti rapportarsi con bacino, ginocchia ecc., piuttosto che con chakra, bandha e quant’altro. Utilizzo una successione di asana per, ad esempio, migliorare la capacità di allungamento della catena muscolare posteriore; oppure in altri casi la sequenza è costruita per migliorare un atteggiamento troppo cifotico del dorso…

 

YJ Ma lo yoga è anche altro rispetto alle posizioni…

GA La conoscenza che l’insegnante acquisisce degli allievi, e delle dinamiche del gruppo, sarà fondamentale per trovare il giusto atteggiamento, parole, motivazioni, affinché, anche chi è alle prime esperienze nello Yoga, intuisca che c’è ben oltre da scoprire. A questo scopo introduco, verso la fine del primo percorso, alcuni concetti cardine dello Yoga, come ad esempio Yama e Niyama. La pratica Yoga proposta ad una classe deve risultare gioiosa ma disciplinata, stimolante ma non competitiva, rispettosa delle persone, del luogo, del messaggio, della pratica stessa. Ogni componente del gruppo ha lo stesso peso ed equanimamente ognuno necessita di attenzioni differenti, di parole chiarificatrici o incoraggianti.

 

YJ Ci vuole molta competenza e “occhio” per valutare progressi e difficoltà?

GA Può sembrare banale, ma la disposizione degli allievi in sala, la possibilità di vederli chiaramente tutti, guardarli attentamente da vicino in esecuzione, girando tra di loro, aiutarli con tocchi minimi, ma sicuri, oltre che stabilire/rafforzare un rapporto, ci aiuta a sentire se la loro azione è forzata, rilassata, al limite, titubante. Poi, l’esperienza su di sé, la valutazione delle difficoltà incontrate degli allievi, lo studiare stratagemmi per affrontarle, aggirarle, costruiscono un bagaglio prezioso che rende sempre più efficace il metodo di insegnamento. Trovo utile lo scambio con altri insegnanti, e anche il confronto con professionisti della riabilitazione, osteopati, medici, con cui spesso mi confronto quando le mie competenze non sono sufficienti ad agevolare la pratica in sicurezza ad un allievo.

 

YJ Puoi raccontarci degli aneddoti che, nel bene o nel male, ti hanno insegnato a raffinare il tuo approccio alle lezioni?

GA Molti anni fa in India, nel mio primo corso intensivo, l’insegnante mi riprendeva continuamente. Non andava bene nulla, il nome “Giovanni” rieccheggiava continuamente nella Shala, tanto che più di una volta mi sono trattenuto dal rispondergli, il mio orgoglio era ferito. Ma il Maestro aveva ragione, in quel momento ero come un tronco appena tagliato che aveva necessità di interventi decisi, marcati che mettessero bene in chiaro sin da subito l’orientamento che avrei dovuto prendere per praticare bene. Più recentemente, un maestro con cui da molto tempo volevo lavorare, ad un residenziale non mi ha praticamente considerato per una settimana. Ero un po’ perplesso, ma sono bastate quattro parole l’ultimo giorno per comprendere il perché e dare un senso a tutta la settimana!

 

YJ Come stimoli gli allievi ad una pratica privata a casa? Offri dei consigli?

GA Personalmente tendo a dare tracce di studio solo a fine corso, ma invito e stimolo l’allievo a provare a stendere il tappetino a casa, sedersi e osservare cosa succede: se si pensa troppo può succedere che non si produca nulla ma… se si ascolta il corpo… lui sa cosa è meglio per lui! Quando crescerà la confidenza con le dinamiche delle lezioni, con la ripetizione di certe sequenze di asana, tutto diverrà un po’ più spontaneo. Poi oggi sul web si trova di tutto. Io stesso faccio parte di un progetto in cui credo molto, Yogare, quindi la possibilità di praticare oltre le lezioni del corso non mancano.

 

 

Giovanni Asta

Insegna dal 1997 con grande successo ai numerosi studenti del Vidya Yoga la scuola che ha fondato con la moglie Paola, dove è supportato da un gruppo di splendidi insegnanti. Ha conseguito il Ph.D. Indovedic Psychology con il C.S.B. e nel 2012 con lo CSEN di Milano il patentino di Personal Trainer Olistico. Ha ampliato la sua visione del mondo dello yoga frequentando lezioni e seminari negli Stati Uniti, in Europa e in Italia, integrando attraverso differenti esperienze, metodi ed insegnanti. Lo potete vedere anche nel team Yogare

https://www.facebook.com/giovanni.asta.370

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