di Piero Vivarelli
La sala è ricoperta da decine e decine di tappetini perfettamente allineati. In giro c’è chi conversa appassionatamente, chi esegue asana più o meno avanzati, chi si riscalda nella Posizione del Gatto e della Mucca, chi, infine, si prepara eseguendo una Verticale dritta come un fuso. Altri ancora osservano la scena con l’aria un po’ smarrita di chi vive quell’atmosfera per la prima volta. Centinaia di aspiranti yogi sono giunti da molte parti del globo per praticare Anusara yoga sotto la guida del suo fondatore: John Friend.
Lo stile Anusara (parola sanscrita che significa “fluire con grazia”) si basa fondamentalmente sulla filosofia tantrica non dualistica dello Shivaismo del Kashmir, che afferma come ogni manifestazione dell’universo sia il risultato della vibrazione (spanda) di un’energia (shakti), la cui sorgente (sat) è Coscienza (chit) e Beatitudine suprema (ananda). Secondo questa filosofia, quindi, ciascun essere umano vibra e risplende di quella stessa coscienza e, attraverso la pratica dello yoga, è in grado di farne l’esperienza diretta. John Friend ha avuto l’intuizione di creare una serie di principi (definiti Principi Universali di Allineamento), tanto raffinati quanto immediati da applicare nelle posture, che non soltanto rispettano le leggi bio-meccaniche del corpo, ma riflettono e incarnano i principi (tattva) propri della filosofia tantrica. Così, nelle classi di Anusara, gli asana (eseguiti attraverso una pratica dinamica e creativa), gli aspetti filosofici e spirituali dello yoga si sposano con naturalezza, favorendo un vero e proprio processo alchemico.
Allinearsi al divino
Quando John sale sul palco non occorre molto tempo perché gli oltre duecento praticanti ritrovino la concentrazione. Il fisico non è quello che ti aspetteresti da un maestro di yoga. Da subito ricerca il contatto diretto con gli allievi. Nel dare il benvenuto a tutti con trasporto, risulta evidente la sua intenzione di eliminare quel distacco, apparentemente incolmabile, nella relazione fra maestro e discepolo che alcuni ritengono sia indispensabile. Usa l’ironia, scherza, fa riferimento ad avvenimenti d’attualità (siano essi sportivi, sociali o culturali), per poi portare l’attenzione sulla ragione essenziale del perché così tante persone si siano date appuntamento in questa occasione. Rivela come, qualunque sia la motivazione iniziale di ogni praticante (scoprire il divino, imparare a fare un particolare asana, sperimentare una nuova tecnica), tutti hanno in comune lo stesso desiderio di volere essere felici con se stessi e con gli altri.
Nella pratica dell’Anusara, sottolinea Friend, l’intento è cruciale: riconoscere la propria luce interiore, allinearsi allo Spirito supremo che è il modo più potente di portare il cuore nella pratica. Poi invita gli allievi ad assumere una posizione comoda per prepararsi all’invocazione che dà il via a ogni workshop. È un testo sanscrito delle “Upanishad”: Om Namah Shivaya Gurave (“mi inchino al principio supremo, al maestro interiore”), Satchidananda Murtaye (che assume la forma di realtà coscienza e beatitudine), Nisprapancaya Santaya (che è trascendente, luminoso e calmo), Niralambaya Tejase (indipendente, è l’essenza vitale dell’illuminazione). L’invocazione è un modo di ricordare e onorare le nostre qualità intrinseche, ricorda John, che sono pace, gioia, luce e libertà interiore. Le voci che all’unisono cantano tre volte l’OM e tre volte il mantra vedico risuonano nella sala e sembra di poter sentire e toccare fisicamente la pulsazione dell’energia suprema. Il tempo di assorbire quelle vibrazioni e dal palco il maestro invita ad alzarsi in piedi. Dopo poche istruzioni iniziali, relative principalmente alla respirazione e all’allineamento dei piedi, tutti si ritrovano a muoversi al ritmo del proprio respiro praticando alcuni Saluti al Sole, per poi fermarsi nella Posizione del Cane che si stira.
Fluire con grazia
John adesso cammina tra gli studenti prestando attenzione a ciascuno di essi, guida la classe combinando e alternando le istruzioni prettamente fisiche con concetti filosofici. Con la sua energia, le parole, la mimica, i cambi di timbro di voce, accompagna l’allievo a sperimentare come ciascuna azione del corpo fisico sia portata dal prana. L’obiettivo è focalizzarsi non tanto sulla forma esteriore ma sul fluire naturale dell’energia interiore: è trovare l’equilibrio tra lo sforzo personale e l’abbandono al flusso universale.
La prima parte della sessione è piuttosto dinamica, intensa, le posizioni si susseguono a ritmo relativamente serrato, con Friend che via via snocciola e illustra i principi di allineamento appartenenti alla sua scuola. Dopo mezz’ora dall’inizio qualcuno potrebbe sospettare che John non si curi molto di chi è alle prime armi. Altrimenti come pensare di fare eseguire Hardha Chandra Chapasana (la Posizione della Mezza Luna Raccolta) o una variante di Vashistasana, con piegamento sulla schiena, a un principiante? Eppure, come condotti da una mano invisibile, gli aspiranti yogi sembrano muoversi con estrema sicurezza. E quando qualcuno resta indietro, John si ferma. Richiama l’attenzione di tutti i partecipanti e aiuta lo studente, passo dopo passo, a esprimere al meglio le sue qualità attraverso la forma esteriore dell’asana. E immancabilmente gli applausi dei partecipanti sottolineano l’espressione incredula e felice della persona guidata.
Man mano che la classe si distende e le posizioni si susseguono, gli allievi acquisiscono confidenza con il metodo e con se stessi. L’energia dei singoli e quella del gruppo si fa sempre più fluida. Le due ore del workshop volano. L’armonia che si respira nella sala si rivela in tutta la sua pienezza quando arriva il momento di Savasana: John, con voce bassa e morbida, porta i praticanti nel viaggio interiore della posizione di rilassamento. È questo il momento dell’ascolto delle rivelazioni interiori, frutto della pratica. La lezione termina con un OM che sembra espandersi oltre i muri della sala. La felicità è evidente negli occhi luminosi delle persone che si danno appuntamento al prossimo incontro con Mr. Friend, magari all’altro capo del globo.
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