Yoga della parola
Usa con consapevolezza l’energia della parola. Può cambiare il mondo, o almeno il modo di sentirlo
di Sally Kempton
Illustrazione di Sarah Wilkins
Tempo fa, durante una cena tra amici, il nostro ospite ci chiese: «I vostri genitori vi hanno mai detto qualcosa che vi siete portati dietro nella vita?». Mentre ognuno condivideva le proprie esperienze, rimasi colpita da quanti di noi siano stati segnati dalle parole dei genitori. Ad esempio, una signora il cui padre un giorno le disse “Qualsiasi cosa tu faccia nella vita, falla al meglio” è diventata un imprenditore di successo. Un’altra, invece, cui era stato detto “Tanto nessuno ti guarda”, ha poi ricoperto, negli anni, il ruolo di assistente a persone di potere. Riflettendoci, sembra quasi che le parole diano forma alle scelte di vita. La forza delle parole si manifesta per tutti. Pensa solo al piacere che provi quando qualcuno ti porge un complimento sincero, oppure al disagio che provi se ti capita di svelare un segreto che avevi promesso di mantenere. Le parole e le energie che esse portano con sé possono creare o rompere amicizie, costruire carriere, fare innamorare. Nulla di nuovo, eppure spesso lasciamo che le parole ci escano dalla bocca senza nessuna mediazione e consapevolezza delle conseguenze. Come un sasso gettato nel lago. Che crea onde che cominciano ad incresparsi fino a diventare agitate e schizzarci addosso.
Lo yoga e la parola
Gli antichi saggi yogi avevano già compreso la tendenza dell’uomo a far fluire inutilmente le parole. Molti testi della tradizione, dalle Upanishad alla Bhagavad Gita, agli Yoga Sutra, suggeriscono di utilizzare con attenzione le parole. Il Buddha stesso ha fatto della Retta Parola, uno dei fondamenti del Nobile Ottuplice Sentiero. Dalla tradizione apprendiamo che le parole non necessarie sono solo un dispendio di energie, e potrebbero essere utilizzate per altre pratiche di crescita spirituale. Ma soprattutto è bene rendersi consapevoli della loro energia; creano gioia, dolore, falsità, crudeltà e amore. In un mondo dove prevale un flusso di chiacchiericcio indistinto, senza fine, senza verità, dove la ripetizione ininterrotta di supposizioni e finte promesse rende la parola vuota di significato di fiducia, il concetto di Retta Parola sembra rivoluzionario.
Eppure una maggiore consapevolezza dell’uso della parola, dei modi di dire, può essere uno strumento di trasformazione, non solo nelle relazioni, ma soprattutto per noi. Le parole creano la realtà, è la sintesi degli insegnamenti tantrici. Ossia tutto nell’esistenza, dalle rocce ai pianeti comprendendo gli esseri viventi, è costituito di differenti vibrazioni e densità; le parole non sono solo simboli di significati, ma onde di energia. I tipi di parole che concentrano maggiore densità di energia sono i mantra. Quando vengono pronunciati in maniera corretta, e ripetuta, possono cambiare il corso della vita. Ma anche le parole della vita quotidiana posseggono una loro potente forza vibrazionale, pensa solo alle parole come “mamma” o “padre”. Inoltre tutti i discorsi, soprattutto quelli carichi di emozioni, creano onde energetiche che irradiano il corpo e l’atmosfera; creano il contesto emotivo in cui viviamo in quel momento. Il corpo e il subconscio percepiscono la qualità della vibrazione di ogni parola, sia essa crudele o gentile, così come anche l’aria e la terra. Quando senti una buona vibrazione in un luogo o in una stanza, é il lascito di parole e sentimenti positivi che sono stati vissuti in quel luogo. Non lasciare al caso le parole.
Dove nascono le parole
Il principio e la pratica della “Retta Parola” è l’assunzione della personale responsabilità delle parole, in modo che esse non producano effetti nocivi sugli altri e di conseguenza su noi stessi; questo implica che il nostro agire deve essere improntato al nostro parlare e corrispondere ad esso. Praticarla è come una forma di yoga. Il primo passo è quello di rendersi consapevoli di cosa esce dalla bocca, per esempio origliando le tue parole senza giudicarle; ascoltare la forma, il tono con cui le esprimi, in quale contesto, la reazione emotiva che suscitano in te e negli altri. Il secondo passo è quello di domandarsi: cosa mi fa dire ciò che dico? Quale tipo di emozione inespressa sto richiamando? Desiderio, dolore, invidia, rabbia, gioia. Oppure le parole stanno mascherando uno stato d’inquietudine, e si risolvono in un’affermazione sarcastica. Questa forma di autoindagine richiede riflessione e tempo, ma è necessaria.
È un processo essenziale per riuscire a parlare con voce e parole autentiche: con una consapevolezza ad un livello più elevato. Questo lavoro d’introspezione può essere supportato dalle pratiche yoga dei mantra, la ripetizione di suoni sacri e antichi ricchi di energie vibrazionali, come la Om. I suoni mantrici possono ricalibrare le energie del corpo sottile e dare alle tue parole maggiore forza, chiarezza e consapevolezza del loro utilizzo, espressività e spontaneità.
In molte questioni che ci si pongono davanti, cerchiamo la migliore risposta con gli strumenti a nostra disposizione. Le conseguenze, attese o meno, rimangono poi nelle nostre mani. Mi piace usare il criterio delle 3 domande, non tanto per indurre una forma di autocensura, ma come un invito per riflettere e utilizzare le parole con migliore consapevolezza possibile. La magia delle parole è che possono trasformare in meglio la tua energia e farla vibrare anche nella vita di chi ti circonda.
Usa i mantra
Katia aveva cominciato da poco la pratica dello “yoga della parola” e insegnava in un liceo che subì dei tagli di personale. Molti collaboratori avevano perso il lavoro e nella scuola si era instaurato un clima di tensione. Le conversazioni tipo tra colleghi vertevano esclusivamente sul triste spirito che animava il liceo. Questo sentimento profondo si manifestava e materializzava nelle loro parole, che ripetute giorno per giorno manifestavano una profezia che si autoavvera: il decadimento. Un giorno, accorgendosi che questa commiserazione collettiva stava creando un miasma di cattivi sentimenti, Katia si chiese “cosa posso fare per innalzare le energie?”.
La prima soluzione fu adottare i Mantra. Questi, definiti come “parola che libera la mente di colui che la recita ripetutamente”, sono la più pura e alta forma di parola. Alcuni mantra ti portano istantaneamente ad un livello più elevato della realtà. Il mantra da lei scelto fu Om Namah Shivaya (Mi onoro ad un più alto livello di consapevolezza). Un mantra molto potente per purifi- care la mente e la parola. Dopo averlo praticato per circa 20 minuti, si rese conto che la sua coscienza appariva più quieta e limpida, le emozioni più turbolente si rasserenavano. “Ho suggerito ai miei colleghi di ripensare alle parole utilizzate in riferimento al lavoro. Mi sono resa conto che lamentarsi è un abitudine molto difficile da superare. Sembra che la negatività sia sempre un polo che attrae, ma utilizzare la parola sacra, con un livello di consapevolezza più elevato, è un antidoto molto potente. Ho imparato, ogni volta che mi appare un pensiero di rabbia, a cercare di calmarmi, non espri- mermi e ascoltarmi. Nel silenzio mi appare una parola o un’immagine inaspettata, perlopiù ricca di saggezza”. Il segreto per trovare la parola che possa ispirare e trasformare non viene dalla bocca, o da una mente costantemente agitata, ma dal silenzio oltre le parole. Il luogo che raggiungiamo in quella breve immobilità della mente che apre il cuore.
Le tre domande
Io sono una persona con una inclinazione impulsiva, e ho trovato utile un piccolo protocollo per rendermi consapevole delle osservazioni che sto per fare, o che sarebbe meglio non fare. Un mio insegnante una volta mi ha detto, “Prima di parlare poniti queste domande: È vero? È gentile? È necessario?” Alcune versioni di questi cancelli per la retta parola, possono essere ritrovate anche in insegnamenti buddhisti. Praticarli ti insegna a fare una pausa prima di parlare e magari evitare una scia di problemi.
È vero?
Una delle cose che amo di questo metodo è che apre un grande spazio per la contemplazione. Ad esempio cosa vuol dire “vero”? Stai mentendo o stai volontariamente distorcendo i fatti? Ma se stai solo facendo delle piccole esagerazioni? O se ometti una parte della storia? E se inserisci delle tue opinioni e prospettive personali? Ad esempio, qual è la “verità” sul fidanzato della tua amica che lei trova interessante, mentre ai tuoi occhi appare presuntuoso e arrogante? In questo ginepraio di supposizioni non è facile districare la verità. Magari con il tempo troverai sensibilità ed equilibrio nel calibrare la giusta verità, ma nell’immediato è utile come deterrente per riflettere sul senso intimo della verità e dell’azzardo che si può celare dietro una certa parola, esagerazione e opinione gratuita.
È gentile?
Sembra ovvio che alcune osservazioni sono gentili e altre no. Ma cosa può accadere se alcune asserzioni sono in contrasto con la verità? Ci sono alcune verità che non dovrebbero essere dette, anche se in maniera gentile, perché sono troppo devastanti? Oppure è una forma di vigliaccheria sopprimere una verità che possa causare dolore? Se le tue parole potessero rovinare una relazione?
È necessario?
“Ho sentito le parole letteralmente fermarsi in gola” un amico mi ha detto una volta. Era giunto alla conclusione che, nel conflitto tra verità e gentilezza, era meglio rimanere in silenzio. Ma a volte si è obbligati a parlare, anche se le conseguenze non sono felici. Un medico che deve informare un paziente terminale che la sua vita volge alla fine. Dire al tuo amore che non ti senti più felice insieme a lui, e dirlo prima che questa infelicità arrivi a un punto in cui l’unica scelta sia separarsi. Ma è necessario dire alla tua amica che hai visto il suo fidanzato abbracciato a un’altra?
Il caso di Elena
Alcuni anni fa una mia allieva, Elena, dopo un workshop mi ferma e mi racconta che durante la sua adolescenza è stata molestata sessualmente da suo padre. È stata in terapia per un certo periodo, e di comune accordo con il terapeuta aveva deciso, come processo per la guarigione, di confrontarsi con suo padre e le sue sorelle.
Era consapevole che avrebbe mandato in frantumi una famiglia borghese, umiliato suo padre e che alla fine forse non avrebbe avuto la tranquillità che avrebbe desiderato. Era profondamente preoccupata di trovare il modo di fare la cosa giusta. Suggerii di porsi le tre domande. È vero? Lei rispose inequivocabilmente di sì. È gentile? La domanda suscitò in lei il pensiero che quello che si accingeva a fare era una forma di amore, duro ma puro. Alla terza domanda, è necessario? rispose che lo era perché le sue sorelle, più giovani vivevano ancora in casa. Le conseguenze per la famiglia furono dolorose e difficili. Ciononostante, lei ritenne di aver preso la decisione giusta.
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